Sbircio
ancora una volta l’orologio rendendomi conto di quanto sia tardi. Chiamo i
bambini che, mai stanchi, corrono a destra e sinistra. Non è tanta la
differenza d’età tra me ed il mio primogenito Lorenzo. Diciotto anni appena.
Ero davvero giovane quando mi sono sposata e di certo non ero stata allietata
da oro e danari ma, colta dall’amore ad appena sedici anni, mi sembrava di
essere matura per il grande passo.
Avevo
sete di situazioni nuove, di nuovi ambienti e ancor più desideravo vivere le
esperienze in prima persona, allontanarmi un po’ da mia madre. Il
paese si era evoluto, e tante situazioni avevano preso il sopravvento
disorientando la generazione dei miei genitori, che dalla severità più assoluta
stava passando a un permissivismo che mai avrebbe immaginato. Mamma Palmina non
voleva ancora cedere il passo a questa evoluzione, ma concedeva piccole dosi di
rinnovamento. Babbo Dino aveva comprato, se non la prima in assoluto, la
seconda Mivar posseduta ad Ilbono, e da quel particolare contenitore,
stranamente piccolo,uscivano le melodie di Nilla Pizzi, Claudio Villa e Orietta
Berti che piacevano tanto ai miei genitori. Cantavano dell’amore che
ingentilisce l’uomo quando deve conquistare la donna, ed altrettanto spesso
parlava di amori incompresi o dibattuti. Ben presto queste cedettero il passo alle
canzoni inneggianti l’amore palesato, alla liberazione del desiderio ed al
femminismo che buttava alle ortiche il senso del pudore.
Questa
liberazione raggiunse il massimo nei primi anni Settanta, quando iniziai a
vestire con jeans a zampa e le magliette che arrivavano appena all’ombelico.
L’amore non era più qualcosa di segreto,ed era gridato ai quattro venti dai
vari movimenti hippy. Noi ragazzine
coglievamo con enfasi l’idea femminista che bussava alle porte, nonostante lo
sbraitare degli adulti. Magari fu solamente il portare la minigonna e uscire
alla sera fino a poco dopo il tramonto, ma comunque era stata una conquista
impensabile.
La
percezione del mio paese che, fino ad allora, aveva avuto come punto di
riferimento (e come fonte del sapere solo la Sardegna), cambiò: prese
velocemente un’altra consapevolezza allargando gli orizzonti. Quando mi trovavo
a casa da sola perché i miei erano impegnati in campagna, la manopola della
radio impazziva tra le mie dita. Un instancabile cambiar canale che saltava
pari pari il giornale radio, fino a sentire la Vespa di mio babbo che
rientrava.
Le
orecchie frastornate dai nuovi gruppi musicali stimolavano l’immaginario.
facendoci mettere in discussione i valori e le valutazioni sulla vita. Oltre
che un’evoluzione veloce ed in costante variazione, i figli nati in quel
periodo furono condizionati dai gusti e dalle opinioni che arrivavano forti, anche
in assenza di vento, tra i mandorli ed i ciliegi del piccolo paese.
La
radio fu presto soppiantata (e pure i dischi di Claudio Villa e Nilla Pizzi)
dal giradischi, che babbo Dino riponeva sopra la credenza della cucina. Lo
prendevo con cautela e vi facevo girare Lucio Battisti, i Nomadi ed altri
gruppi in voga. Arrivarono anche i Beatles dalla lontana Inghilterra, («ma dove
sarà mai questa Inghilterra?» Si chiedeva mamma Palmina) e i Rolling Stones.
Tutt’oggi, nonostante la maternità precoce e le problematiche della vita
abbiano appesantito i miei pensieri, sento fremere le gambe quando ascolto la
musica che mi accompagnò dalla gioventù all’età matura. Quanti privilegi in più
rispetto a mia madre! E quanti rispetto a mia nonna Giuannica! Povere donne,
imbrigliate da nodi antichi ed indissolubili.
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