Nonna
Giuannica si era sposata a sedici anni,ma fisicamente ne dimostrava tredici.
Conosceva molto bene le privazioni, ed ignorava totalmente gli agi. Non erano
certamente tra i più poveri in quel paesello di poche anime, ma spesso non
sapevano cosa mettere sulla tavola. Mai un biscotto, mai un amaretto. Solo
qualche fico, conservato sotto chiave in cantina, oppure il piccolo furto di un
chicco d’uva, che appassiva all’aria nel sottotetto incannicciato, addolcendo i
giorni della sua adolescenza.
La
famiglia aveva la terra, però andava arata e seminata, se si voleva
raccoglierci qualcosa. Per quanto avesse un’ottima abilità contadina, al mio
bisnonno e padre di Giuannica, riusciva davvero pesante applicare la costanza
alla zappa. Giuanni Loi, al pari di quelli che non conoscono i morsi della fame
per aver la fortuna di essere nati negli agi, nella sua vita aveva usato e
abusato di quanto la natura lo aveva dotato alla nascita. Fece l’errore di dar
retta ad un gruppo di scapestrati, affiatandosi ad essi fino al punto di
sentire l’odore della galera. Una strada errabonda e sconsiderata.
Non
c’era scorribanda che non lo attraesse. Complici le notti e le cantine in cui
si bagnavano la gola, tutto diventava attraente e divertente. La balentia era il suo forte, ed il gusto di
farla franca era il sale delle sue giornate, noncurante della famiglia che lo
attendeva tranquilla ed incosciente a casa. Sconsideratamente, non gli era mai
balenato per la mente che, quando si è abituati a tessere trappole, si rischia
di cascarvi dentro. Così era stato, sfortunatamente per lui.I suoi compari,
forse per caso o forse perché traditi al vino, avevano fatto in modo di
accollargli la responsabilità di un furto, sollevando se stessi dalla colpa. Lui,
fesso tra i fessi, rimase incastrato nel suo bighellonare borioso.
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