O bambino mio Divino, io ti vedo qui a
tremar.
O Dio beato o oo.
Ah quanto ti costò l’avermi amato o oo.
È arrivata anche la settimana santa
brulicante d’impegni e aspettative, di pentimenti e buoni propositi.
Le massaie operose cuociono il pane, e
chi può si avvicenda nell’unico forno del vicinato, per preparare amaretti e
biscotti. Almeno una volta all’anno avrebbero addolcito la loro tavola. Le
ragazze devote accantonano le faccende, in favore delle prove canore nella
chiesa patronale di san Giovanni Battista per il rito natalizio.
Il paese, in fermento, profuma di
lentischio, cisto e di aromi sprigionati dai forni a legna. Tutto ha sapore di
genuinità e di rinascita. Tutto cosparso di buon auspicio.
Il sabato antecedente al Natale,
Palmina, pur se lontana dall’atmosfera santa, decise che sarebbe stata festa
anche per loro. Avvisa sua madre che avrebbero pranzato tutti insieme, affinché
non restasse sola.
«Mangiamo qui da voi. A casa non ho un
tavolo abbastanza grande per tutti.»
Giuannica acconsente con un cenno del
capo anche perché non se la sente più di protestare. Un po’ perché non ha lo
spirito giusto, un po’ perché, sia che scelga di farlo o di non farlo, avrebbe
dovuto fare i conti con la propria coscienza. Senza convivio, per i suoi figli
sarebbe stato come se il Natale non fosse mai arrivato ma, allo stesso tempo,
si sarebbe sentita in colpa. Così preferisce lasciarsi guidare dalla figlia.
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